
La lunga storia dell’edificio, dal 1913 sede dell’Archivio di Stato di Pisa, inizia nel 1505 quando Bartolomeo Lanfranchi, mercante pisano operante nel Tirreno e attivo particolarmente a Palermo, rientrando definitivamente in patria acquistò una domus di cinque piani con loggia, pozzo e varie pertinenze posta sul Lungarno, nella cappella di Sant’Andrea in Foriporta L’ubicazione sul fiume, dove dall’accorpamento di case e torri medievali andavano sorgendo le dimore delle principali famiglie cittadine, conferiva all’abitazione un particolare pregio esibendo il prestigio economico e sociale del proprietario, membro di una casata di antica aristocrazia che aveva rinverdito le sue fortune lontano da Pisa.
Una prima ristrutturazione fu realizzata nel 1560 per iniziativa di Federico Lanfranchi, figlio di Bartolomeo; poi nel 1576 i nipoti di costui, Albizo e Giovanni Lanfranchi, ne commissionarono un più radicale rinnovamento, affidando allo scultore Francesco Mosca detto il Moschino la realizzazione della facciata ‘alla moderna’, con due cantonali laterali lavorati a bugnato sviluppati per tutta l’altezza e l’uso di differenti materiali lapidei.
Ancora di proprietà dei Lanfranchi, nel 1829 il palazzo fu acquistato all’asta dai Toscanelli, impresari edili originari del Canton Ticino approdati nella metà del Settecento a Pisa, dove si erano affermati soprattutto ottenendo l’appalto della manutenzione del patrimonio edilizio urbano dell’Ordine di Santo Stefano e ristrutturando palazzi e ville delle maggiori famiglie cittadine.
Al successo economico, che aveva trasformato i Toscanelli in grandi proprietari fondiari, mancava il suggello della promozione sociale, e la via per raggiungere la parità con le antiche casate pisane non poteva passare che attraverso l’acquisizione di un elegante palazzo e quindi un formale riconoscimento nobiliare.
L’occasione per realizzare il progetto si presentò nel 1827 quando, approfittando della crisi finanziaria dei proprietari, Antonio Toscanelli acquistò all’asta per 8.000 scudi Palazzo Lanfranchi. Iniziarono subito grandi lavori di trasformazione affidati all’architetto Alessandro Gherardesca, progettista di primo piano in quegli anni, con il compito di trasformare l’antica abitazione gentilizia in moderna e sfarzosa residenza.
Completamente rinnovato all’esterno, con una nuova facciata di marmo, il palazzo fu interessato da un’accurata sistemazione interna che riguardò infissi, arredamento, caminetti, pavimenti. Furono riqualificati i grandi saloni del primo e del secondo piano e affrescati i soffitti dai pittori Nicola Cianfanelli, Gaspero Martellini e Annibale Gatti con scene raffiguranti Byron e la poesia e L’apoteosi di Galileo e L’apoteosi di Michelangelo.
Da dimora privata, il palazzo diveniva così sede di rappresentanza della famiglia, status symbol di una famiglia borghese che nel frattempo, nel 1832, aveva ottenuto la nobiltà pisana per diploma granducale.