
Il cartello è stato realizzato in occasione del Giubileo 2025. Per informazioni visita il sito ufficiale del giubileo https://www.iubilaeum2025.va/it.html
La Chiesa, già citata nel 1025, tra il 1152 e il 1171 venne riedificata con annesso il monastero che ospitò i benedettini Pulsanesi (definiti anche “scalzi”). Tra il Quattrocento e il Settecento il complesso passò alle monache Brigidine, poi ai canonici Agostiniani e infine ai monaci Olivetani. La chiesa fu fortemente danneggiata durante la seconda guerra mondiale e per l’alluvione del 1949. Il toponimo “orticaia” potrebbe riferirsi alle condizioni dell’antico quartiere, acquitrinoso e ricco di ortiche, o alla vasta concentrazione di orti, horticarum, che un tempo rifornivano la città.
La facciata, spartita da tre ingressi, è divisa in due ordini: la parte inferiore con paramento marmoreo ad arcate cieche sostenute da colonne con capitelli corinzi, al cui interno si alternano rosoni e losanghe; l’ordine superiore, in laterizio, con un rosone centrale, frutto di interventi seicenteschi. Nel portale un Cristo benedicente, opera del 1204 di influenza bizantina (l’originale si trova al Museo di S. Matteo) e le Gerarchie angeliche. Il campanile, a pianta quadrangolare e fortemente inclinato per un cedimento del terreno, in pietra nell’ordine inferiore e in laterizio nell’ordine superiore, rimanda all’architettura lombarda con ordine crescente di polifore. La costruzione è arricchita dall’inserimento di bacini ceramici (XII-XIII secolo), locali e di importazione mediterranea. L’interno, a tre navate con colonne e capitelli romanici dell’XI secolo e di spoglio, conserva una croce dipinta di scuola pisano-bizantina del XIII secolo. Sul lato sinistro, il chiostro del monastero, con duplice ordine di colonne e volte a crociera. Parte di queste strutture alla fine dell’Ottocento furono incluse nella fabbrica di ceramica Richard Ginori, della quale oggi è visibile solo una grande ciminiera.
Si segnala l’originaria appartenenza alla Chiesa di opere oggi conservate al Museo di San Matteo: un Leggio in marmo della seconda metà del XIII secolo di Nicola Pisa; un bacino con imbarcazione e iscrizioni cufiche, maiolica a cobalto e manganese, di Manifattura tunisina della fine del XII/inizio XIII secolo. A partire dagli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso i bacini ceramici di importazione mediterranea prodotti tra l’XI e il XIII secolo, e quelli successivi di produzione pisana, per motivi conservativi e di studio sono stati trasferiti presso il Museo Nazionale di San Matteo. Il Museo si distingue quindi per conservare una delle raccolte di ceramiche islamiche più rivelanti al mondo.